Tracce esame avvocato penale 2009-2010…
Le soluzioni nei commenti…che mano mano si aggiornano
Traccia1
Il 10 febbraio 2000 due amici, tizio e caio si accordavano per acquistare eroina da assumere insieme. Tizio ,raccolto il denaro, si recava nel vicino comune di beta rivolgendosi ad uno spacciatore dal quale si era già rifornito in passato. Acquistate due dosi, ritornava dall’amico caio ed insieme assumevano la droga. Caio assumeva anche alcool. Subito dopo caio accusava un malore al quale seguiva il suo decesso. Il medico legale attribuiva la morte al narcotismo esaltato nei suoi effetti dalla contemporanea assunzione di alcoll etilico, anche esso depressivo del sistema nervoso centrale. Sulla base delle indicazioni fornite da Tizio ai carabinieri, lo spacciatore veniva identificato in sempronio. Veniva anche perquisita la sua abitazione, ove venivano rinvenuti e sequestrati mg 800 di eroina, suddivisa in due distinti involucri e frammista a sostanza da taglio, nonché un bilancino di precisione. Sempronio decideva di rivolgersi ad un legale. Il candidato, assunte le vesti di avv di sempronio rediga motivato parere illustrando le problematiche sottese alla fattispecie.
Traccia 2
Tizio, legale rappresentante della società gamma srl partecipava alla licitazione privata per l’appalto di lavori di costruzione per la nuova sede dell’istituto polivalente di beta e, come richiesta dal bando, aveva allegato la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale aveva attestato che la società era iscritta all’albo nazione costruttori sin da data anteriore al 24.11.1999, requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, in quanto detta iscrizione doveva preesistere alla gara stessa. Stante la convenienza della proposta della società gamma, l’aggiudicazione dell’appalto era avvenuta in suo favore e i conseguenti atti deliberativi e dispositivi della procedura erano stati redatti sul presupposto, attestato dai pubblici ufficiali, redigenti sulla base dell’anzidetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà facente fede di quanto dichiarato, e limitandosi a prendere atto dell’attestazione del privato. Successivamente si accertava che la società gamma srl aveva affermato il falso perché in realtà l’iscrizione era stata conseguita solo il 14 12 1999. Tizio, preoccupato delle conseguenze penali del suo comportamento, decide di rivolgersi ad un legale.
Il candidato assunte le vesti di avvocato di tizio, rediga motivato parere illustrando le problematiche sottese alla fattispecie.
PARERE SUGLI STUPEFACENTI:
In via principale, prima di analizzare in maniera approfondita la giurisprudenza di legittimità che si è succeduta negli anni, sino all’intervento risolutore e chiarificatorio delle Sezioni Unite con la nota sentenza n.22676 del 29 maggio 2009, occorre valutare che la vicenda a carico di Sempronio, vede quali questioni fondamentali il fatto che egli, al momento in cui aveva ceduto un certo ridotto quantitativo di droga a Tizio, amico di Caio, non potesse prevedere che questi avrebbe assunto la sostanza assieme a Caio, nè tantomeno poteva sapere che quest’ultimo avrebbe fatto uso di alcool in associazione alla eroina.
Occorre innanzitutto rappresentare che non vi è dubbio sulla imputazione che verrà contestata a Sempronio di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73 DPR 309/90, in relazione non solo alla chiamata in reità da parte di Tizio, il quale aveva dichiarato di aver acquisitato la sostanza stupefacente da Sempronio, ma anche a seguito delle emergenze della perquisizione domiciliare, nel corso della quale si trovava ulteriore sostanza drogante del tipo eroina ed il materiale necessario al confezionamento della medesima.
La questione che qui interessa, invece, riguarda la riconducibilità della fattispecie di reato previsto e punti dall’ art. 586 c.p., in merito alla quale si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la suindicata sentenza e l’ipotizzabilità dell’ipotesi attenuata di cui al V comma dell’art. 73 DPR 309/90.
Le Sezioni Unite risolvono la questione considerando, la natura e l’ambito della responsabilità prevista dall’art. 586 c.p., in una prospettiva costituzionalmente orientata ed affermando “in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale”.
Tale questione era sorta a seguito delle discordanti decisioni delle sezioni della Suprema Corte, che avevano cercato di risolvere l’annoso problema della riconducibilità della responsabilità del reato di morte quale conseguenza della cessione di sostanza stupefacente allo spacciatore della droga stessa, approcciando di volta in volta diversi aspetti del diritto sostanziale.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione emessa in 28 giugno 1991 n. 11965 ric. Greco, sostenne “lo spacciatore di droga risponde del reato di cui all’art. 586 c.p. nel caso di morte dell’acquirente derivata dall’assunzione della sostanza stupefacente. Il rapporto tra il fatto del delitto doloso (spaccio di stupefacenti e vendita della dose) e l’evento non voluto (morte del tossicodipendente) è stabilito dalla mera causalità materiale, sicchè l’imputato, come autore del delitto doloso, deve rispondere a titolo di colpa dell’evento non voluto, indipendentemente o anche in assenza di qualsiasi errore o altro fatto colposo o accidentale”.
Ai sensi della suindicata giurisprudenza di legittimità sarebbe stata quindi superflua una indagine specifica sulla sussistenza, in concreto, degli estremi della colpa in relazione all’evento non voluto, poichè lo spacciatore rispondeva a titolo di responsabilità oggettiva, necessitando unicamente la prova del nesso di causalità materiale tra la condotta di cessione e l’evento morte, non interrotto da cause sopravvenute.
La nota sentenza del 1994 n. 6339 (Ric. Melotto) sosteneva invece “In tema di attività illecite concernenti gli stupefacenti, l’evento morte dell’acquirente in conseguenza dell’assunzione della droga ceduta non costituisce, di per sè, elemento ostativo all’applicazione della circostanza attenuante della lieve enitità del fatto di cui all’art. 73 V DPR 309/90. Infatti una corretta nozione del concetto di globalità dell’accertamento ai fini della concessione della detta attenuante non può paradigmaticamente ricomprendere il verificarsi di tale evento, conseguito ad assunzione di sostanza stupefacente ed addebitabile all’agente a titolo di colpa consistita nella violazione della legge sugli stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dell’evento letale.”
Pur valutando l’applicabilità del V comma dell’art 73 DPR 309/90, la Corte ravvisava nella fattispecie prevista dall’art. 586 c.p. una responsabilità per colpa specifica, in cui l’evento lesivo, conseguente dal delitto doloso commesso, è imputato al colpevole a titolo di colpa per violazione di legge, perché l’art. 43 c.p. annovera tra i criteri di qualificazione dei comportamenti colposi (in aggiunta alla imprudenza, imperizia e negligenza) anche l’inosservanza della legge.
La Suprema Corte a Sezioni Unite, invece, precisa come, ai fini della responsabilità penale, occorrerà espletare una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo, inoltre, conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto.
Infatti, fondando il proprio convincimento sulle norme costituzionali, la Corte ha ritenuto che, affinchè sia rispettato l’art. 27 Cost., è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente.
Si dovrà pertanto verificare se nella situazione concreta dal punto di vista di un agente modello, quale può essere una persona ragionevole consapevole degli effetti della sostanza ceduta, risultava prevedibile l’evento morte come conseguenza dell’assunzione da parte di uno specifico soggetto di una determinata dose di droga.
Sempronio pertanto sarà da ritenere esente da colpa in quanto ad una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto l’evento morte o lesioni erano imprevedibili, per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dal cedente, come nel caso di specie in cui alla cessione di una esigua quantità di droga è seguita la morte a causa della contemporanea assunzione di alcool.
La consulenza tecnica infatti ha attribuito il decesso di Caio al narcotismo esaltato nei suoi effetti dalla contemporanea assunzione di alcool etilico, anch’esso depressivo del sistema nervoso centrale, di cui il Sempronio non poteva prevederne l’uso da parte di Caio.
In conclusione, va dunque affermato il principio che nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’art. 586 c.p. per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto ascrivibile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in cocreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza.
Da ultimo in ordine alla questione riguardante l’attenuante di cui al V comma dell’art. 73 DPR 309/90, interviene a dissipare ogni dubbio la già citata sentenza Melotto del 1994, che chiaramente ammette la possibilità di concessione di tale ipotesi laddove vi sia la cessione di un quantitativo esiguo di sostanza stupefacente.
Pertanto se al Sempronio sarà contestata la detenzione e cessione di sostanza stupefacente, seppur nell’ipotesi attenuanta, ai sensi del DPR 309/90 al prevenuto non potrà essere ascrivibile il reato previsto e punito dall’art. 586 c.p.
PARERE SECONDA TRACCIA By ERIMATA
Nel caso di specie, è richiesto parere in merito alla condotta di Tizio, legale rappresentante della società Gamma S.r.l. per aver allegato nella richiesta di partecipazione alla procedura di licitazione privata per l’appalto dei lavori di costruzione della nuova sede dell’Istituto polivalente di Beta, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale falsamente affermava che la società anzidetta era iscritta all’Albo nazionale costruttori in data anteriore al 24.11.1999, mentre, in realtà, detta iscrizione era stata conseguita dalla società Gamma S.r.l. solo il 14.12.1999.
Per le caratteristiche di convenienza della proposta di tale società, la aggiudicazione dell’appalto era avvenuta in suo favore ed i conseguenti atti deliberativi e dispositivi della procedura erano stati redatti sul presupposto – attestato dai pubblici ufficiali redigenti sulla base dell’anzidetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, facente fede di quanto dichiarato – che l’impresa aggiudicataria presentava il requisito della iscrizione all’Anc alla data della presentazione della offerta.
La soluzione del caso, richiede, pertanto, un’analisi congiunta. Bisogna analizzare se la condotta posta in essere da Tizio, legale rappresentante della società Gamma S.r.l., abbia concretizzato un reato di falsità ideologica in atto pubblico di cui all’art. 483 cod. pen. e, altresì, verificare se la condotta in esame abbia poi dato luogo ad un ulteriore fattispecie di reato continuato di falso ideologico di cui all’art. 479 cod. pen., questa volta per aver Tizio indotto in errore dei pubblici ufficiali sull’effettiva esistenza di un requisito indispensabile di partecipazione alla licitazione privata, posto che i conseguenti atti deliberativi e dispositivi della procedura erano stati redatti sul presupposto della anteriorità della iscrizione delle imprese all’Albo.
Le conseguenze penali di una simile condotta sono solo in parte immuni da dubbi interpretativi.
Aver presentato un’autocertificazione ideologicamente falsa, l’istante potrebbe rispondere del reato di cui all’articolo 483 del Cp, sussistendo in capo a costui il preesistente obbligo di dichiarare il vero nel contesto di un documento dotato di efficacia probante, cioè destinato a provare i fatti come se fossero attestati al pubblico ufficiale.
Il tenore della dichiarazione è difatti tipicamente previsto da una legge extrapenale come vincolante per la funzione probatoria dell’atto e già sotto il vigore della legge 15/1968 (articolo 26), oggi sostituita dal Dpr 445/2000 (articolo 76, comma 3), le dichiarazioni sostitutive (di notorietà, di certificazione) sono «considerate come fatte a pubblico ufficiale» ai fini e per gli effetti dell’applicazione delle sanzioni del codice penale.
L’odierna questio iuris è stata sottoposta alla cognizione delle sezioni Unite che, con la sentenza 35488/07, hanno risolto – positivamente – il seguente quesito: se la falsa attestazione del privato concorra, o meno, con il delitto di falso per induzione in errore del pubblico ufficiale, quando l’atto pubblico adottato dal pubblico ufficiale, al quale essa è prodotta, è diretto ad accertare l’esistenza del fatto falsamente attestato dal privato, ovvero soltanto quando l’attestazione del privato sia utilizzata dal pubblico ufficiale ingannato per descrivere o attestare una situazione di fatto, ulteriore e più ampia rispetto alla falsa certificazione del privato e con quest’ultima comunque connessa.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover ribadire l’orientamento già espresso dalla corte di cassazione del 1995 n. 1827 secondo cui tutte le volte in cui il pubblico ufficiale adotti un provvedimento della esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, si è in presenza di un falso del pubblico ufficiale del quale risponde, ai sensi dell’art. 48 c.p. colui che ha posto in essere l’atto o l’attestazione non vera.
Il provvedimento del pubblico ufficiale, infatti, è ideologicamente falso in quanto adottato sulla base di un presupposto che in realtà non esiste. Di tale falso, però, non risponde il pubblico ufficiale, perché in buona fede in quanto tratto in inganno, bensì il soggetto che lo ha ingannato.
Le Sezioni Unite hanno argomentato, al riguardo, che il procedimento di formazione di qualsiasi atto amministrativo prevede come primo momento l’accertamento dei presupposti, accertamento che viene compiuto dalla stessa autorità che deve porre in essere l’atto o direttamente o, più frequentemente, sulla base di documenti che possono consistere anche in atti pubblici e certificati rilasciati da altre autorità. Quindi, se detti documenti, certificati etc. sono falsi, materialmente o ideologicamente, deriva che anche la conseguente attestazione circa l’esistenza dei presupposti è falsa.
Altro orientamento giurisprudenziale minoritario, si pone in termini più riduttivi rispetto all’anzidetta interpretazione totalizzante delle Sezioni Unite ed afferma la configurabilità di fattispecie nelle quali il falso per induzione non sussiste nei suoi elementi costitutivi, perché il tipo di attestazione che il pubblico ufficiale redige non è falso: ciò si verifica quando la attestazione ha ad oggetto non il fatto attestato (falsamente) dal privato ma la circostanza che lo stesso ha reso la relativa attestazione, cioè l’esistenza dell’atto (contenente la falsa attestazione) proveniente dal privato.
In ogni caso l’indirizzo prevalente espresso dalla Suprema Corte vuole che il delitto di falsa attestazione del privato (di cui all’art. 483 cod. pen.) concorra – quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato – con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell’atto al quale l’attestazione inerisca (di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen.), sempreché la dichiarazione non veritiera del privato concerna fatti dei quali l’atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità.
In conclusione alla luce di tale assetto giurisprudenziale nel caso in esame sarà configurabile in capo a Tizio il delitto di falsa attestazione del privato in concorso con il reato di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen., poiché la falsa dichiarazione di quest’ultimo, già costituente di per sé reato, si è posta in rapporto strumentale con atti pubblici successivamente redatti da pubblici ufficiali, pure affetti da falsità ideologiche.
ok thanks a camomillale!
siamo quasi alla fine…qualcuno trova gia’ la traccia dell’atto?
Filippo le tracce le trovi quì a breve anche gli atti..
http://www.caffeblog.it/2009/12/17/terza-prova-dellesame-di-abilitazione-per-la-professione-forensetracce-e-atto-di-civile-penale-amministrativo-2009-2010/